BIOGRAFIA
SCIPIONE GINO BONICHI
Gino Bonichi, nato a Macerata nel 1904 adotta il soprannome d’arte di Scipione. Appena quattro anni, dal 1929 al 1933, dura la parabola di Scipione pittore, che muore a 29 anni stroncato dalla tubercolosi. Quattro anni brucianti di visioni, sogni, profezie, figure ectoplasmatiche e paesaggi romani rivisitati con una tavolozza dai colori cupi e squillanti – quel rosso sangue soprattutto – divenuta modello e leggenda. Un ristretto nucleo di opere magnifiche che trasmette al pubblico l’universo del pittore: l’ansia della ricerca espressiva, la lotta contro la malattia, il senso di ineluttabilità della morte. Scipione era la personalità più impetuosa nel gruppo – definito da Roberto Longhi Scuola di Via Cavour – che formava insieme a Mario Mafai e alla moglie Antonietta Raphael e pochi altri; il più deciso, opponendosi al parlar aulico della pittura dei primi del ‘900, a creare opere visionarie ed espressioniste riconducibili (lontanamente) alla pittura di Van Gogh, Munch, Ensor. “Ritratto del Cardinal Decano” del 1930, il quadro che sigillò con scandalo e successo la prima e unica partecipazione di Scipione alla Biennale di Venezia. Chiesa, religiosità, decadenza sono al centro di molti dipinti di Bonichi, che reiventa, con sguardo febbricitante, monumenti e scorci della città: sempre del 1930 sono “La via che porta a San Pietro”, dai segni concisi e i colori infuocati, e l’apocalittica “Piazza Navona” popolata da fantasmi di pietra in mostra al Casino dei Principi. E poi “La Piovra (I molluschi, Pierina è arrivata in una grande città)” del 1929, con quelle anguille nere invischiate di rosso e attorcigliate intorno alla testa di Pierina; l'”Autoritratto”, dal quale emergono già tutti i segni della malattia che pochi anni dopo lo ucciderà; l’inchiostro acquerellato del “Ritratto di Ungaretti”, che frequentò spesso lo studio di Via Cavour e il raffinato “Ritratto di ragazza”; “Il risveglio della bionda sirena”, trasparente metafora della lussuria ispirata da un sogno di Antonietta Raphael Mafai, opera raramente esposta.
SCIPIONE (Gino Bonichi)
Macerata 1904 – Arco di Trento 1933;
pittore, disegnatore, poeta
Il padre Serafino è capitano d’amministrazione presso il Distretto Militare, la madre Emma Wulderk discende da una famiglia tedesca ma è da molti anni in Italia. Scipione è l’ultimo di sei fratelli. La famiglia si trasferisce a Roma nel l919, andando ad abitare in via Caio Mario 8. Il giovane Scipione si dedica soprattutto all’attività sportiva, ottenendo dei buoni risultati, ma molto presto in seguito a una polmonite, contrae la tubercolosi che condizionerà tutta la sua vita a venire. L’inizio dell’attività artistica si colloca intorno al 1924. Le prime opere sono caricature realizzate per puro divertimento, poi avviene l’incontro con Mario Mafai che lo spinge a frequentare la scuola libera del nudo dell’Accademia di Belle Arti. Il loro maestro è Antonino Calcagnadoro. Dai ricordi di Mafai appaiono molto importanti per la formazione anche gli studi compiuti nella Biblioteca di Storia dell’Arte di Palazzo Venezia. Oltre a studiare, Scipione e Mafai tentano di guadagnare qualcosa vendendo quadretti commerciali e cartelloni pubblicitari (firmandosi con la sigla “Bomaf”).
Nel 1925 entra in scena anche Antonietta Raphaël, proveniente dalla Lituania e da una avventurosa giovinezza trascorsa a Londra e a Parigi. La sua pittura, libera da vincoli accademici, sarà molto importante per il giovane Scipione . L’esordio come pittore si può collocare nell’ambito della Biennale romana del 1925. Pur non registrati nel catalogo dell’esposizione, due piccoli quadri di Scipione e Mafai vengono inseriti di “straforo” da Oppo (la testimonianza è di F. Di Cocco). Oltre che con gli artisti finora nominati Scipione è in contatto in questo periodo con il pittore catanese Mario Mimì Lazzaro, con Virgilio Guidi (che ammira molto) con Ferruccio Ferrazzi e con Renato Marino Mazzacurati, giunto da poco a Roma. Dai carteggi con Lazzaro e Mazzacurati, Scipione appare molto attento e informato sulle vicende culturali del momento. Segue appassionatamente la polemica tra Strapaese e Stracittà, insieme con Lazzaro e con Mafai tenta di avviare la pubblicazione di un foglio culturale dal titolo”Il Fondaco”, che uscirà in due numeri nel 1928. I suoi entusiasmi giovanili sono tuttavia ostacolati dalla malattia che lo costringe a trascorrere lunghi periodi in sanatorio.
Nel gennaio del 1929 si apre a Palazzo Doria una collettiva in cui Scipione espone accanto a Aldo Bandinelli, Gisberto Ceracchini, Francesco Di Cocco, Enzo Frateili, Mario Mafai, Andrea Spadini. L’opera esposta ,”Contemplazione”, mostra una adesione ad un gusto “primitivo” che comincia ad attecchire a Roma proprio grazie al successo del pittore-contadino Gisberto Ceracchini. Nei mesi seguenti espone alla “Prima Sindacale” e in una collettiva presso la “Casa d’arte Bragaglia”, la sua pittura sta ancora cercando una strada, e appare incerta tra il primitivismo e la plasticità novecentesca. Il momento in cui la sua vena fantastica e visionaria trova finalmente un piano formale adeguato può collocarsi cronologicamente in un momento molto preciso, l’autunno del 1929. La pittura si rinnova sul piano materico e iconografico, inizia a funzionare lo stretto legame con le esperienze letterarie. Il periodo fino alla primavera del 1931 è intensissimo. In poco più di un anno Scipione dipinge i suoi capolavori, dal “Risveglio della Bionda Sirena” al “Ritratto del Cardinale Decano”, alla serie delle nature morte e delle vedute romane. Espone alle mostre sindacali (1929 e 1930) alla Biennale di Venezia (1930) alla Prima quadriennale (1931) nel novembre 1930 tiene una personale con Mafai alla Galleria di Roma di P.M.Bardi. Collabora con disegni e caricature all’ “Italia letteraria” (grazie alla profonda amicizia con Enrico Falqui), immagina copertine di libri, fonda insieme a Mazzacurati una rivista dal titolo battagliero, ” Fronte”, che esce in due soli numeri nel 1931. Dal 1931 inizia il calvario delle cure e l’inutile peregrinazione per i sanatori. La sua estrema stagione pittorica, pur
anticipando una certa tendenza allo schiarirsi dei toni, propria della “Scuola romana” negli anni Trenta, mostra in modo evidente il dramma della sua situazione personale.
Bibliografia : M.Fagiolo dell’Arco, V.Rivosecchi, Scipione, Ed. Allemandi, Torino, 1988 (con bibliografia precedente); Arte italiana, presenze 1900-1945, a cura di P. Hulten, G. Celant, Venezia 1989;V. Rivosecchi, Scipione, in Nove maestri della scuola romana, Torino 1992; Catalogo della mostra Venezia. e la Biennale, a cura di F. Scotton, Venezia 1995
da: http://www.scuolaromana.it/artisti/scipione.htm