LETTERE AL VUOTO
9 Aprile 2020, quinta settimana di quarantena, il terzo giorno.
IL RE E’ NUDO
Mi affaccio alla finestra e sorrido al sole di una città pulita, silenziosa, rispettosa, elegante. Alzo lo sguardo e il cielo di Roma in primavera fa tremare il cuore, lo confonde e si moltiplica nelle memoria delle mille tele che lo hanno ritratto da quando Roma è nata. È sopra di me, incastonato tra palazzi barocchi dai balconi ornati di statue e palazzi settecenteschi, vezzosi, dalle facciate allungate, dorate, rosate; tra loro, qua e là, baciati dalla sobrietà dell’opulenza, quelli cinquecenteschi, vellutati di pozzolana, l’amata terra rossa brunita di Scipione. E tra i cornicioni vedo volare i gabbiani. Una città di fantasmi. La mia città, finalmente.
Come nel racconto di Wells mi sono risvegliata in una città deserta i cui abitanti sono ridotti alla cecità. Io, come il protagonista, proprio perché bendata, ora posso vedere ciò che ho sempre saputo, perché per me in effetti nulla è cambiato e il mio stupore sono gli altri. Affetti da una cecità di massa, isolati e confinati, brancolano nella paura e si aggrappano all’unica certezza condivisa, l’unico media uscito trionfante da questo attacco alieno della quarantena alla libertà, all’intelligenza, all’uguaglianza e alla democrazia: la televisione. Parenti, conoscenti, amici e intellettuali che prima avevano un nome, una storia, una personalità pubblica e privata, interrogati, mi davano risposte surreali, identiche tra loro, che io non capivo. Per una straordinaria ragione. Io avevo appena traslocato e non avevo la televisione.
Mi chiedi come ho vissuto queste settimane; cosa mi ha colpito. Il diffuso rifiuto dei più a mettere in discussione ciò che stava accadendo; la cieca ubbidienza alla credenza comune, l’asservimento al pensiero unico. Ancora. Il rifiuto e l’isolamento di chi osava contrapporre all’accettazione passiva, ogni ragionevole dubbio, bollato come “fautore di complotti”. E la solitudine di un pensiero che non riuscivo a condividere e non percepivo come condiviso. Il vedere quelli con i quali volevo confrontarmi come “congelati” in uno stato di torpore intellettuale e i pochi che si erano esposti, scusarsi pubblicamente… mi ha turbato profondamente.
Turbato, non sconvolto.
Come l’improvviso black out dell’informazione su: guerre, politica estera, politica interna, migrazioni e economia. Inquietante, no? L’informazione come un cappello o un paio di guanti, non essenziali quando hai fretta o sei distratto… o annichilito dalla propaganda della paura. In realtà per me nulla è cambiato. Solo che ora il re è nudo e per ironia, è stata proprio una corona a smascherarlo!
Prima o poi le strade torneranno a popolarsi e queste parole saranno negate. La gente che morirà non farà più notizia e si imparerà a convivere con questo virus come prima con la guerra, la fame, l’immigrazione e la povertà, quella degli altri, se possibile. I borghesi usciranno dalle loro tane dorate più grassi ed insicuri di prima e i poveri saranno solo più poveri ma in cambio saranno di più. Riprenderà il calcio, le messe e i tg. E la gente ricomincerà a consumare e brinderà allo scampato pericolo. Come i miei scheletri, insomma.
Nulla è cambiato. Il re è nudo… W il re! [Art in world – giugno 2020]
IL VECCHIO E IL MALE
Erano le 8 di una splendida mattina di sole. Si svegliò e scoprì di essere diventato vecchio. Da principio era strano. Pensò fosse un male passeggero. Infatti l’uomo era identico a se stesso. Era il mondo intorno a lui che era tutto diverso. Il sapore del caffè. La barba sotto il rasoio, la luce, il tempo. I rumori. Anche il quotidiano fresco di stampa, era vecchio. Perché si era preoccupato di comprarlo subito? Con stupore, quella carta intrisa di inchiostro, di quel giorno aveva solo la data. Identico a tutti i quotidiani che aveva letto ogni giorno, prima di quel fatidico assurdo giorno. Fissava quei fogli come papiri. E le tragedie, gli eventi, la moda, i pronostici sprofondavano in una voragine di memoria lontana fino al big bang e oltre. E come poteva sentire le campane del mattino, così nitidamente poteva percepire l’atroce stridio di stelle esplose e risucchiate e il rantolio di farfalle agonizzanti dopo un unico giorno di vita e le luci fastose di bombardamenti in atto e il rumore del bollitore elettrico e le parole d’amore e i singhiozzi, le lacrime versate, il tintinnio di bicchieri. E i baci e le notti e i giorni e la rabbia, l’indignazione, l’arroganza e i trionfi, l’orgoglio e le carezze erano diventate cose. Solo inutili, fragili cose, patetiche reiterazioni di nevrosi private e collettive, autoreferenziali e prive di sapore, di colore, di valore.
E la morte? In definitiva, noiosa, ovvia, identica, calco perfetto del pieno di cui semplicemente essa era il vuoto. Come la sabbia che all’arrivo dell’onda si ricompone nella sua sinuosità e l’orma deformante scompare. E il male? Il vecchio cercava di ricordare. Perché lo aveva tanto combattuto? Perché improvvisamente non ne ricordava più il significato? Ma che cos’era questo Male che tanto lo aveva tenuto occupato, per cui aveva vuotato fiumi di inchiostro, che aveva dipinto, combattuto, sofferto, per cui si era esposto, ferito, risollevato, tutto quel rumore, per cosa? Era quasi mezzogiorno. Con i gomiti puntati al davanzale del ballatoio, guardava le colline brulicanti sotto un cielo immobile. Un ceruleo a tinte piatte con nuvolette bianche. E nella pianura, una macchia di colore grigio e delle piccole forme rosse, geometriche, allineate. Ma cosa è il male. Ecco, pensò, stupito dal suono delle sue parole, io, non lo so. Abbassò lo sguardo sotto di lui e fissò il giardino dei suoi nuovi vicini, due pensionati di Bergamo, che se lo erano aggiustati a puntino, per non venirci mai.
Ripensò al giornale, fissando l’erba, dritto sotto i suoi piedi sospesi. Il disinfestatore che è venuto mercoledì deve aver compiuto una vera strage, pensò, Quell’erba brulicherà di cadaveri. Tra i sopravvissuti, chissà, ci saranno insetti neonati, magari nati deformi per l’effetto dei pesticidi e altri staranno copulando. Chi si nutrirà dei cadaveri e chi cercherà cibo fresco. Chi costruirà nuovi nidi e chi si destreggerà in danze di seduzione. Perché il giornale non ne parla affatto? Perché un perfetto estraneo che sta facendo le stesse cose, chissà dove, in giro per il mondo, dovrebbe essere più interessante dei miei vicini? Quella strage l’aveva predisposta proprio lui, il vecchio. E meno di 48 ore prima di essere diventato vecchio. Sono stato io. Pronunciò queste parole come se le stesse leggendo. Senza enfasi, senza sussurrarle. Era un fatto. Il sole era alto. E il vecchio era stanco di starsene in piedi, immobile, al caldo, con i gomiti arrossati sul ferro del ballatoio e così rientrò.
Si addormentò e sognò. Un quadro di Hieronymus Bosch. Solo che il dipinto de Il giardino delle delizie era diventato un fazzoletto del suo giardino e tutto, incredibilmente, tornava. Insetti mostruosi, copule, dilaniazioni e così via. Un arazzo di sordidi e splendenti, minuscoli eventi, l’uno accanto all’altro nel suo giardino delle meraviglie. Il vecchio dormiva e dormendo si rimpiccioliva sempre più fino a diventare così piccolo da sognare di cadere e allora si aggrappò ad un filo d’erba e per poco non si fracassò il collo. D’istinto guardò in alto verso la sua finestra ma non riuscì a riconoscerla. In compenso vide cose che non aveva mai visto. E ne rimase incantato. Quegli insetti di cui temeva così tanto prima l’esistenza, ora erano così giganteschi da renderlo indegno anche della minima attenzione. Allora si sdraiò sulla terra e chiuse gli occhi. Ecco. Sono invisibile. Forse morire è questo. Arrendersi alla vita. Le sue minuscole mani sfioravano l’aria. La cosa più eccitante erano i suoni. E sognò di dormire. E dormendo divenire insetto. Ingoiato da una lucertola, divenire lucertola e fuggire ad una rondine che lo avrebbe divorato e divenuto uccello, volare e volando si stupì di essersi perso e gli piacque talmente da decidere di non risvegliarsi ancora. Ancora adesso, mentre scrivo queste righe. Potrei anche continuare e dirvi come è andata a finire ma non posso, e certo che lo vorrei e potrei anche provarci. Se solo riuscissi a svegliarmi.
Fine della storia.
Monchiero agosto 2018